«Lascio il Museo in pieno sviluppo e con una missione: raccontare 2500 anni storia degli ebrei in Italia»

di Ilaria Ester Ramazzotti

Simonetta Della Seta, dal Meis a Yad Vashem. La direttrice del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah è stata chiamata a un prestigioso incarico: guidare il Dipartimento Europa dello Yad Vashem di Gerusalemme. Qui traccia un bilancio dei suoi quattro anni (felici) a Ferrara, dove ha appena preso il suo posto Amedeo Spagnoletto

Si sarebbe dovuta inaugurare lo scorso 3 aprile la terza grande mostra del Meis, intitolata “Dentro e fuori. Oltre il ghetto”, prorogata al 5 marzo 2021 a causa dell’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus. Ce ne parla Simonetta della Seta, direttore uscente del Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara, che abbiamo sentito a proposito del suo quadriennio alla guida del Meis. Il prossimo settembre partirà per Gerusalemme, dove sarà direttore del dipartimento Europa dello Yad Vashem. L’avvicendamento col nuovo direttore del Meis Amedeo Spagnoletto, nominato il 3 giugno, avviene in questi giorni.
«Sono giunta al Meis nel giugno del 2016, quando esisteva solo la Fondazione Meis – ricorda -. Era stata restaurata la palazzina, c’erano due uffici, una segretaria e un’altra persona part time. Il museo esisteva legalmente insieme alla fondazione, ma il vero e proprio Meis ancora no. La grande sfida è stata di realizzare e aprire al pubblico un vero grande museo. Il progetto complessivo prevede anche il restauro di due edifici dell’ex carcere di Ferrara, oltre ai cinque edifici che corrispondono simbolicamente ai cinque libri della Torah. Siamo a metà della costruzione, però abbiamo quasi completato il percorso espositivo permanente. Sono stati quattro anni faticosissimi ma bellissimi – sottolinea –. Mi sono occupata di tutto ciò che attiene alla vita e alla funzionalità del museo, dai bilanci ai regolamenti, dal personale all’apertura del bookshop».

Il Meis, un museo costruito intorno
al suo percorso narrativo
«Quando sono arrivata, il museo non aveva una collezione. Andava tutto letteralmente costruito e i contenuti andavano adeguati alla realizzazione degli spazi. Oggi, la costruzione dei contenuti è andata più avanti rispetto alla costruzione degli spazi. Il 13 dicembre 2017 abbiamo inaugurato il Meis alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con la grande mostra Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni e uno spettacolo multimediale che in 24 minuti racconta la storia dell’Italia vista dagli occhi degli ebrei italiani. La strategia che ho sviluppato insieme al consiglio di amministrazione e al comitato scientifico prevede che le tre grandi mostre cronologiche, già definite prima che arrivassi, contribuiscano a costruire il percorso espositivo permanente. Una parte degli oggetti raccolti per ogni mostra rimarranno al Meis in prestito a lunga scadenza, come è stato per Il Rinascimento parla ebraico, esposta nel 2019, e come sarà per la nuova mostra rimandata al 2021, che tratterà il periodo storico dai ghetti all’emancipazione».
In verità esiste già la quarta parte del percorso narrativo, quella sulla Shoah in Italia, grazie al presidente Sergio Mattarella che nel 2019 ha voluto destinare al Meis l’esposizione intitolata 1938: l’umanità negata che, realizzata insieme al Miur, era stata aperta al Quirinale nel 2018 per gli 80 anni dalle Leggi razziali. «Oggi, se non ci fosse stata la crisi sanitaria legata al Covid-19, il visitatore avrebbe potuto percorrere un itinerario espositivo storico che parte dagli antichi romani e termina alla promulgazione della Costituzione italiana e all’Europa Unita».

Una collezione creata ex novo, opere e reperti riportati
a nuova vita per narrare una lunga tradizione
«Lavorare a un museo che non aveva collezioni ci ha permesso qualcosa che non succede quasi mai: se normalmente un museo costruisce il proprio percorso espositivo intorno agli oggetti della propria collezione, il Meis ha avuto l’opportunità straordinaria di lavorare prima alla sua narrazione e poi di chiedere gli elementi della collezione in prestito. Questo è stato possibile grazie al fatto che tutti i musei nazionali italiani hanno oggetti o documenti attinenti alla storia ebraica italiana, dal momento che la storia degli ebrei italiani è profondamente radicata nel tessuto storico della Penisola da 2.500 anni. Abbiamo potuto mappare questo patrimonio sparso e dargli un contesto. La cosa più affascinante è stata far parlare di nuovo i documenti antichi, magari conservati in un deposito, riportandoli nell’ambito della loro storia ebraica».
Sono allora molteplici e ambiziose le motivazioni che hanno sostenuto la scelta di realizzare un museo dell’ebraismo italiano. Gli italiani sanno ancora poco dell’ebraismo della Penisola nonostante gli ebrei siano da sempre parte del tessuto di questo Paese; ma c’è anche l’interesse a riscoprire una parte della cultura e del retaggio dell’Italia meno conosciuta. «Da statuto, il Meis ha la missione di diffondere la storia, la cultura, la vita dell’ebraismo italiano, e a questo si associa la missione di raccontare la storia di una minoranza che dialoga con una maggioranza. Qui si tocca uno dei temi e delle domande della nostra attualità – evidenzia -: come apprendere a dialogare fra minoranza e maggioranza in un mondo che è sempre più compenetrato da contaminazioni culturali e identitarie. L’esempio degli ebrei, che da secoli praticano la pluri-identità, può essere una risposta preziosa e può insegnare agli altri che, seppur attraversando l’incertezza, il pericolo, il limite, si può avere la propria cultura e anche resilienza, ma al contempo saper dialogare, e che anche la pluri-identità è possibile. Proprio l’ebraismo italiano, rispetto ad altri, offre soluzioni peculiari, di moderazione, per esempio. Che cosa c’è di più attuale?». Il Meis è così un luogo adatto a trasmettere al pubblico quali siano i valori universali dell’ebraismo.
«Un altro grosso problema, di molti, è quello di conoscere gli ebrei solo attraverso la Shoah, di conoscere gli ebrei come vittime – aggiunge -. Spesso, quando venivo intervistata per il giorno della Memoria, portavo i miei visitatori di fronte all’immagine dell’arco di Tito, per far comprendere che gli ebrei erano a Roma ancora prima dei romani, che la loro vita e presenza in Italia è molto antica, che come ebrei italkim hanno persino un loro rito. La storia ebraica italiana è fatta di periodi difficili, ma anche di proficue fioriture, come durante il Rinascimento, sia dentro che fuori dai ghetti. Senza comprendere tutto questo, non si riesce a capire davvero quanto grave sia stato il tradimento perpetrato verso gli ebrei italiani con le Leggi razziali».
«Al Meis (che è un Museo Nazionale, collegato al Ministero per i Beni e le Attività culturali, ndr) a differenza che nei musei interni alle comunità ebraiche, c’è il grande racconto dell’ebraismo italiano e l’opportunità di farlo conoscere agli altri. Le Comunità si occupano molto del lavoro interno, mentre al Meis il “racconto” è per altri e rivolto agli altri, un racconto efficace persino senza dover entrare nelle case e nelle comunità ebraiche, capace di esprimere quanto l’ebraismo italiano sia parte della storia italiana. E oggi la funzione di un museo non è più quella per cui sono nati i grandi musei enciclopedici, ma è di essere un luogo dove vivere un’esperienza unica e conoscere un contesto. Non possono infatti esistere musei che offrano solo esperienze digitali online».

Numeri e risultati di quattro anni
di attività nazionale e internazionale
«Hanno visitato il Meis circa 50 mila persone, in buona parte alunni delle scuole. Il Meis è un posto dove farli venire, a detta loro, prima e dopo e al posto di Auschwitz. Un luogo molto apprezzato dagli studenti, ma anche da un pubblico internazionale, soprattutto ebraico. Il 30 per cento dei visitatori vengono dal circuito del turismo internazionale».
«Lascio la direzione di un museo che esiste, che è nella rete dei musei italiani e dei musei internazionali dell’ebraismo e della Memoria». La Fondazione Meis è a scopo pubblico e finanziata da denari pubblici, mentre il Meis è ufficialmente un Museo Nazionale, ma l’interesse che riscuote varca i confini. «Lo scorso novembre, proprio al Meis, c’è stata una riunione plenaria dei musei ebraici europei. Nel novembre del 2018, il museo ha ospitato l’assemblea plenaria dell’IHRA, International Holocaust Remembrance Alliance. Inoltre, a New York c’è un’associazione degli Amici del Meis e siamo stati invitati anche a Parigi e a Berlino – conclude Simonetta Della Seta -. Confido che il nuovo direttore, C.d.A. e comitato scientifico porteranno avanti quanto costruito da tutti noi, perché il Meis ha un ruolo per l’Italia intera».

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