I primi mille anni degli ebrei italiani. A Ferrara la mostra che apre il Meis
OGGI MATTARELLA E FRANCESCHINI OSPITI DEL NUOVO MUSEO REALIZZATO NELL’EX CARCERE DELLA CITTÀ EMILIANA
Bussano dal passato col loro nome, i loro oggetti, pezzi sparsi di vita, e diventano protagonisti. C’è l’iscrizione funeraria di Claudia Aster, venduta come schiava a 5 anni a Gerusalemme e morta a 25 a Napoli nel I secolo d.C.; i manoscritti del medico pugliese Shabbetay Donnolo che nel X secolo riprende a usare l’ebraico; il sigillo con cui Teodora certifica che le sue ceramiche rispettano la kasherut; e poi il macellaio romano Alexander “anima buona, amico di tutti”, i fratellini Avraham e Netaniel, morti a 3 e a 6 anni, Mindius Faustus di Ostia, Zosimiano di Catania.
Con questi “portatori di segni” apre a Ferrara la mostra Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni, che di fatto costituisce il nucleo iniziale del Meis, il Museo nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah che oggi pomeriggio sarà inaugurato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo Dario Franceschini. Un museo che finora in Italia ancora non c’era, dedicato alla “singolare esperienza degli ebrei italiani, da ventidue secoli parte integrante del tessuto del Paese”.
SPAZI MULTIMEDIALI
«Abbiamo pensato a una mostra di contesti e non di oggetti – spiega Giancarlo Lacerenza, curatore con Anna Foa e Daniele Jalla – Che senso ha vedere una lastra funeraria senza sapere nemmeno a chi apparteneva? Quindi abbiamo tirato fuori i nomi delle persone. Gli oggetti raccontano le storie dei loro proprietari, come l’amuleto che una certa Amnia, romana, portava al collo per proteggersi da angeli e demoni». In mostra duecento oggetti preziosi, fra cui manoscritti, incunaboli e cinquecentine, epigrafi di età romana e medievale, anelli, sigilli, lucerne, provenienti dai musei di tutto il mondo.
«Abbiamo riprodotto in scala 1:2 l’arco di Tito – spiega l’architetto Giovanni Tortelli che ha curato l’allestimento – i visitatori ci passeranno sotto e poi vedranno il fregio con il corteo trionfale dopo la vittoria sulla Giudea, l’unico calco esistente degli anni ‘30, prestato dai Musei Capitolini. Abbiamo ricostruito due ambienti delle catacombe ebraiche di Villa Torlonia e di Vigna Randanini, realizzato spazi multimediali che permettono al pubblico di immergersi nei paesaggi desertici del Sinai, nonché di ascoltare lo storico Flavio Giuseppe che narra la distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. da cui comincia la diaspora degli ebrei». Si parte dunque da lì per narrare i primi mille anni, il viaggio in Italia, prima al sud poi verso nord, l’arrivo a Roma, il recupero della lingua, la tolleranza e i pregiudizi.
NEI PANNI ALTRUI
Quella di oggi è in realtà una tripla inaugurazione: oltre alla mostra (aperta fino al 16 settembre 2018), primo nucleo del Meis, ci sarà il taglio del nastro anche per lo spettacolo multimediale Con gli occhi degli ebrei italiani, curato da Giovanni Carrada, autore di Superquark, e da Simonetta Della Seta, direttore del Meis, che in 24 vertiginosi minuti ricostruisce duemiladuecento anni di storia e cultura della più antica delle minoranze. E anche qui i visitatori sono invitati a mettersi nei panni di altri: l’ebreo deportato a Roma dopo la vittoria di Tito, lo scriba nella Palermo delXII secolo, il prestatore di denaro del Cinquecento, il giovane che assiste all’apertura dei ghetti nell’Ottocento, la bambina espulsa da scuola per le leggi razziali del ‘38.
Questo ed altro nel grande edificio restaurato di via Piangipane, nel centro storico di Ferrara, vicino all’ex ghetto, che fino al 1992 ospitava le carceri cittadine. Di tempo ce n’è voluto considerando che la legge istitutiva del Meis è del 2003, il progetto è stato avviato nel 2011, poi sono cominciati i lavori, interamente finanziati dal Mibact e il Consiglio si è insediato a gennaio 2016.
«Finalmente apriamo – dice il presidente Dario Disegni – Questa mostra “di prefigurazione” del museo poi ne diventerà la prima sezione. Per adesso abbiamo restaurato il Corpo C dell’ex carcere, luogo di esclusione che torna a vivere come spazio aperto di cultura. All’inizio dell’anno prossimo partirà la seconda fase, destinata a concludersi nel 2020, con la costruzione degli altri edifici verso i Rampari di San Paolo. Oltre al museo, ospiteranno biblioteca, archivio, auditorium, ristorante, laboratori. Saranno cinque palazzine, come i cinque libri della Torah».
Francesca Nunberg