Cesare Finzi, una vita come memoria: «Il mio compito non si esaurisce mai»

Luigi Pansini

«LA NOTTE dell’8 settembre, subito dopo la firma dell’armistizio, mio cugino Alberto, che aveva 17 anni, era uscito a festeggiare. Fu riconosciuto da un fascista locale – un vicino –, preso a calci, e obbligato ad accompagnarlo a casa, dove presero anche lo zio. Sono stati praticamente i primi ebrei italiani presi dai fascisti e consegnati ai tedeschi». Era un accaduto in parte ignoto pure a Cesare Moisé Finzi, quello dei suoi parenti a Bolzano, ricostruito fino all’ultimo dalle ricerche di Sabine Mayr e Joachim Innerhofer, autori di ‘Quando la patria uccide. Storie ritrovate di famiglie ebraiche in Alto Adige’.

FINZI non è invece sconosciuto a Ferrara, città natale dove regolarmente torna per continuare l’opera di testimone diretto dei fatti, della persecuzione razziale e delle deportazioni, e dove oggi, al Meis, sarà ospite della presentazione del libro. «Vedrò come va il raffreddore», premette. Inconveniente comprensibile a 88 anni, da cui però non intenderebbe farsi fermare; ormai da due decenni, Finzi è chiamato dalle scuole per raccontare quanto toccò a lui e alla famiglia dal 1938 per salvarsi dai lager. Per il 2019 «sperando di farcela, ho dato la mia disponibilità». Con una vicenda in più da ravvivare, la prossima volta: «I tedeschi lasciarono lo zio e mio cugino nelle carceri di Bolzano. La zia Lucia, malgrado le insistenze, non volle scappare. Nemmeno Germana, la mia cugina di 16 anni, volle lasciare sola la mamma. Nella notte fra 15 e 16 settembre furono presi con gli altri ebrei dell’Alto Adige. La famiglia, con lo zio Renzo e Alberto, si riunì praticamente nel campo di concentramento di Reichenau, e lì rimasero fino al febbraio del ’44 quando vennero caricati su uno dei treni della morte». Solo dell’altra cuginetta, «la piccola Olimpia, 3 anni e mezzo», era noto il destino: «Uccisa il giorno stesso dell’arrivo ad Auschwitz; gasata e bruciata».

A FERRARA, comunque, lo sforzo di memoria per Finzi non può dirsi ancora esaurito, nemmeno ora che esiste il Meis; ne fa cenno non per polemica ma con amarezza, come per ogni cosa di cui si senta la verità dell’importanza: «Mi son meravigliato un giorno quando chiesi a una delle guide se mi sapeva dire il tratto di muro distrutto nel bombardamento del carcere (sede del museo, ndr). Cadde dalle nuvole senza aver idea che una parte dei prigionieri ebrei scappò, per poi purtroppo ripresentarsi facendo la fine che sappiamo». Il nome di Finzi si lega poi alla scomparsa profumeria di famiglia, antica bottega del ghetto, di cui rinvenne la storica insegna, donata proprio al museo di via Piangipane anni fa, eppure mai recuperata dal ripostiglio di una pizzeria in cui ancora giace.
«Che io sappia non si son fatti vivi. Se non vogliono farne niente, vedremo come toglierla. Spero in questa occasione di poterne parlare». Dove la memoria è collettiva, non sono più affari personali.


Dall’Alto Adige volti e storie della Shoah. Domani diretta su Uno Mattina

UNA PAGINA importante e dolorosa dell’ebraismo e della Shoah italiani è stata scritta a Merano, la cui eredità ebraica si lega ai nomi di Sigmund Freud, Stefan Zweig e Franz Kafka, che in questa terra hanno soggiornato, al pari delle famiglie Rothschild e Weizmann. Il Meis fa luce sulla vicenda degli ebrei altoatesini oggi alle 17, ospitando nel bookshop di via Piangipane 81 (ingresso gratuito) la presentazione del libro «Quando la patria uccide. Storie ritrovate di famiglie ebraiche in Alto Adige» (Edizione Raetia) da parte degli autori Sabine Mayr e Joachim Innerhofer. Il volume ripercorre vite e sofferenza di tante famiglie,

l’odio cristiano, le diffamazioni e la violenza, gli oltraggi e le privazioni, l’espropriazione e l’assassinio di circa centocinquanta ebrei. Come avvenne in Germania e in Austria, la maggior parte degli ‘ariani’ italiani e sudtirolesi approfittò della condizione dei perseguitati, che a Merano subirono enormi perdite immobiliari: oltre venti ville furono vendute a prezzi irrisori e mai restituite.. A introdurre la presentazione, Simonetta Della Seta, Direttore del Meis, con la partecipazione di Cesare Finzi, Bruno Laufer (sopravvissuto nascondendosi in casa di contadini italiani), Lydia Cevidalli, violinista e figlia di Aziadé Gabai, nipote del noto commerciante di oggetti antichi e tappeti Suleiman Gabai; Maria Luisa Crosina, laureata a Padova in Lettere e Filosofia, presta la sua opera quale libera ricercatrice, consulente storica, paleografa, saggista e traduttrice. Presenti ovviamente i due autori, Sabine Mayr e Joachim Innerhofer, oggi direttore del Museo ebraico a Merano.

DOMATTINA invece, dalle 9.30 circa, la trasmissione «Uno Mattina» di Rai 1 si collegherà in diretta con il Meis, in concomitanza con l’ottantesimo anniversario
della promulgazione delle leggi del 1938). Un collegamento e un legame di forte valenza culturale e storica.

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